Lo Stile del Pellegrino

Fondazione Homo Viator - San Teobaldo

 

Un cammino di ricerca necessita di continuo approfondimento, sostegno ed alimento…, ma anche di momenti speciali, come un pellegrinaggio!

 

Fondamentale è lo spirito con il quale andiamo in questi territori che non corrisponde a quello del turista o del viaggiatore, esclusivamente spinto da interessi storici, geografici, sociologici o artistici. Lo spirito che ci accompagna è quello del pellegrino, ovvero di colui che va in questi Luoghi (MAQOM in ebraico) perché sono rivelativi: aiutano a capire quanto è avvenuto tra Dio e gli uomini.

 

In Genesi 28, Giacobbe sogna una scala che, poggiata sulla terra, si protende verso il cielo. Essere pellegrini significa utilizzare i Luoghi come fossero la base dove poggiare la scala che porta verso Dio, mentre Dio scende dalla stessa scala e ci viene incontro, si china su di noi e sull’umanità. Ciò che cerchiamo di fare durante il pellegrinaggio è tornare alla realtà d’origine dei luoghi stessi, a come si presentavano in principio.

 

Ecco che per comprendere il contesto ci vengono in aiuto geografia, archeologia, topografia, chimica, epigrafia, scienze sociali e socio economiche, così che riusciamo a leggere e interpretare meglio il significato del testo biblico. Ma il pellegrinaggio non si ferma qui. Avendo in una mano il “contesto” e nell’altra il “testo”, il pellegrino si fa interpellare vitalmente ed esistenzialmente da quanto è accaduto nel luogo e da quanto, proprio lì, è stato detto nella relazione vitale e amorevole tra Dio e gli uomini. Come riporta la Dei Verbum, Dio si intrattiene con gli uomini come con degli amici. In questi luoghi, siamo chiamati a farci provocare da quanto ascoltato, visto, sentito e capito, rispetto al nostro cammino umano e di fede, che corrisponde al nostro modo di vivere la relazione con Lui. Questi passaggi ci aiutano ad aprire delle prospettive al nostro futuro perché l’esperienza viva che abbiamo fatto condizionerà sicuramente il nostro modo di essere, pregare, vivere il rapporto con gli altri e con la fede. Ecco quindi apparire chiara l’importanza della storia e della geografia della salvezza. Due elementi che non vanno scissi ma tenuti strettamente correlati l’uno all’altro.

 

Si veda a tal proposito quanto detto da Giovanni Paolo II nel documento redatto prima del Giubileo o quanto sostenuto dai vescovi nel numero 89 della Verbum Domini: il luogo diventa il Quinto Vangelo, simbolicamente è il contesto che ci aiuta a capire gli altri quattro Vangeli. L’esperienza del pellegrinaggio va vissuta quindi con la Bibbia in mano, per leggere la Parola di Dio sulla terra, come ci ha insegnato Padre Jacques Fontaine con il suo metodo: la Bibbia sempre tra le mani per capire cosa quel luogo vuole ancora comunicare a noi oggi. Per prepararci veramente ad un incontro con le pietre sante, ovvero i luoghi della memoria della Salvezza, e con le pietre vive, cioè le tre realtà del monoteismo (ebraismo, cristianesimo e islamico) che hanno Abramo, l’amico di Dio, come padre della fede, è importante fare un cammino di preparazione utilizzando testi, guide, appunti, anche forniti o suggeriti dal nostro Ufficio. Il cammino continua anche al rientro dal pellegrinaggio, quando è necessario riprendere in mano l’esperienza affinché possa essere “ruminata”, come dicevano nel medioevo. Nei giorni intensi di viaggio si riempie la “bisaccia” del pellegrino con le cose viste, la Parola letta, gli incontri avvenuti, i dati, le emozioni. Quando poi si è a casa, bisogna riprendere l’esperienza per “ruminarla”, ovvero vagliarla, discernerla, collocarla nell’abito giusto all’interno della propria vita per scorgerne la ricchezza nella sua pienezza.

 

In questo modo, il pellegrinaggio ci aiuta a dare ragioni di vita e di speranza alla nostra esistenza!